martedì 18 dicembre 2007

E' UN STORIA VERA MA MOLTI NON LA CONOSCONO AFFATTO

LA VERA STORIA DI BABBO NATALE CON LA SUA COCA

E' curioso leggere e conoscere tutta la Storia dello sposalizio storico tra CocaCola e la famosa iconografia del Babbo Natale tanto corpulento, ciccione, dalla lunga barba bianca e dagli abiti rossi e bianchi ... che tutti noi, ogni anno, festeggiamo nei nostri Natali famigliari tra efusioni di bontà nel donare e scambiarci doni.


Babbo Natale alla Coca

Nicola Lagioia

Testo tratto da: Babbo Natale Fazi Editore


Fonte: www.minerva.unito.it/Alimentare/Coca/babbo1.htm

Noi in genere siamo convinti che Babbo Natale così come lo conosciamo (barba bianca, pancione, giubba rossa con i bordi di pelliccia bianca, aspetto gioviale e rassicurante) esista da secoli. Ci lamentiamo al limite del fatto che la sua figura venga sfruttata dalla macchina del consumo più sfrenato. Ma come reagiremmo al pensiero che Babbo Natale, più che essere cavalcato dalla società dei consumi, ne è uno dei prodotti più emblematici? E alla circostanza che la sua presenza nel traffico del nostro immaginario è dovuta soprattutto alla Coca -cola? L ’adozione di Babbo Natale da parte della Coca-Cola avviene quando il portadoni si è ormai quasi del tutto sbarazzato delle sue origini cristiane.

Approdato a New York nel XVII secolo come residuato di una tradizione maturata per oltre mille anni nel Vecchio continente, quello che un tempo era stato San Nicola, vescovo di Mira (nell’attuale Turchia), si presentava nei primi decenni del Novecento americano come un potente simbolo del mondo dei consumi.

L’impresa della Coca-Cola non consistette nell’aver determinato un processo di scristianizzazione già in atto da tempo ma nell’averlo semmai cristallizzato, rendendolo in qualche modo definitivo. Il fatto che quest’incontro sia avvenuto in modo quasi accidentale, non toglie che ci fossero le premesse di un matrimonio felice. Spesso le grandi imprese hanno bisogno di un pretesto, un imprevisto, un incidente di percorso che costringa i loro autori a tirar fuori dalle proprie azioni quello che non credevano possibile. La riscrittura di Santa Claus ad opera della Coca-Cola trovò questo pretesto nel dottor Harvey Washington Wiley, un personaggio il cui semplice nome evocherà per gli uomini della futura multinazionale scenari da incubo. Il dottor Wiley lavorava al Dipartimento di Chimica degli Stati Uniti e cominciò a diventare noto nel 1902, quando diede vita alla “squadra del veleno”, un gruppo di ragazzi utilizzati come cavie umane allo scopo di assumere additivi alimentari sospettati di essere nocivi. L ’anno successivo Wiley fece partire una crociata salutista che troverà nella bibita con le bollicine un bersaglio privilegiato.

«Gli Stati Uniti d’ America contro 40 barili di Coca-Cola». Per quanto ridicolo, questo fu il nome con cui venne chiamato il procedimento giudiziario che per l’azienda di Atlanta rappresentò una delle prove più difficili da affrontare nei primi decenni del XX secolo. La denominazione si deve al sequestro di alcuni barili di Coca-Cola che Wiley fece disporre nel 1907.

L’episodio arrivò al culmine di una campagna denigratoria per la quale era stato sobillato il meglio del fervore paranoide nazionale:

Martha M. Allen, capo del movimento delle Donne per la Temperanza Cristiana: «So per certo di un giovanotto che è diventato una vera nullità a causa della sua abitudine alla Coca-Cola»);

il metodista George Stuart: «Si è saputo che l’ uso di Coca-Cola ha portato in una scuola femminile a deprecabili festini notturni. In più la bibita tiene svegli i ragazzi esponendoli alle tentazioni della masturbazione»).

A questi personaggi si accompagnava una nutrita schiera di opinionisti infervorati, cronisti dalla penna facile o semplici approfittatori pronti a giurare che la Coca-Cola conteneva cocaina (non ce n’era più traccia a partire dal 1903), conteneva pericolose quantità di alcool, di caffeina, di oppio, di imprecisate e terribili sostanze velenose.

Il processo fu celebrato a Chattanooga e fu un buon prototipo di quegli show sotto le coltri di procedimento giudiziario che appassioneranno gli States negli anni a venire. Innanzitutto l’ accusa: si contestava alla bibita di essere adulterata con sostanze pericolose (nello specifico la caffeina) e di avere una denominazione ingannevole – nella sua composizione non c’ era più cocaina mentre la percentuale di noce di cola sfiorava l’infinitesimale. Quest’ultima imputazione fu un esercizio di comicità involontaria in carta bollata: se la Coca-Cola avesse davvero contenuto cocaina, avrebbe trasformato la sua azienda nel più grande spacciatore di droga del pianeta.


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